SALENTO – Dopo la crisi delle patate, la guerra delle ciliegie, vi parliamo della quasi scomparsa del cappero salentino. Tutte queste vicende che stanno mettendo a dura prova l’economia delle piccole imprese salentine e l’agricoltura sono dovute a scelte di mercato. I grandi dettano le regole, i piccoli vengono schiacciati.
Qualcuno ha deciso che è meglio importare i capperi dall’Africa perché si risparmia. Eppure puntare sul cappero nostrano significa tutelare il territorio e appoggiare la filosofia ambientalista del chilometro zero. “Nelle campagne di Taviano, Racale e Alliste il cappero era protagonista, ma oggi è quasi scomparso – spiega l’esperto Marco Margari – La politica non ha puntato su questi prodotti: abbiamo preferito l’importazione dai paesi del nord Africa. Ricordo le campagne delle marine tutte pulite dalle erbacce con nuclei familiari intenti alla raccolta dei capperi: è cambiato un mondo. Esistevano in agro di Racale piante secolari. Ormai i produttori storici sono passati a miglior vita. Abbiamo perso una ricchezza, uno dei nostri prodotti tipici. È il prezzo della globalizzazione: non si è reinvestito e quel prodotto è svanito con gli agricoltori classe ‘40”.
CAPPERO SALENTINO
”Dobbiamo investire sul cappero di Racale, con azioni di marketing e supporto a quel tipo di imprenditoria. Dobbiamo puntare sul marchio salentino. Al nord sono più bravi di noi ad andare sui mercati esteri, unendosi cooperative, e a supportare i propri prodotti” – spiega il consigliere regionale ed agronomo Cristian Casili.